Storie imbastite: partito ad esplorare il regno di mio padre


Da Wikipedia

Per quanto importante, nella scrittura non è la fantasia la cosa fondamentale. Se vi state domandando cosa possa essere, ma se pure non lo fate, ve lo dirò io: è la scrittura stessa. Questi esercizi servono a capire quale vogliamo che sia il respiro di un brano.

Le parole e le frasi si possono disporre in molti modi: ipotassi, paratassi, eccetera eccetera. Però c’è un’aspetto che viene spesso ignorato: la punteggiatura. Non voglio farvi lezioni su punti e virgole; in giro ci sono articoli interessantissimi che magari, nel corso del tempo, vi riproporrò. Passiamo invece subito al nostro gioco: qui sotto c’è un brano, tratto da un racconto di Buzzati, spogliato di tutta la punteggiatura; voi, come lo riscrivereste?

partito ad esplorare il regno di mio padre di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati esattamente otto anni sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino credevo alla partenza che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua che dicevano di essere sudditi miei penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che credendo di procedere sempre verso il meridione noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista che il regno si estenda senza limite alcuno e che per quanto io avanzi mai potrò arrivare alla fine mi misi in viaggio che avevo già più di trent’anni troppo tardi forse gli amici i familiari stessi deridevano il mio progetto come inutile dispendio degli anni migliori della vita pochi in realtà dei miei fedeli acconsentirono a partire sebbene spensierato ben più di quanto sia ora mi preoccupai di poter comunicare durante il viaggio con i miei cari e fra i cavalieri della scorta scelsi i sette migliori che mi servissero da messaggeri credevo inconsapevole che averne sette fosse addirittura un’esagerazione con l’andar del tempo mi accorsi al contrario che erano ridicolmente pochi e si che nessuno di essi è mai caduto malato né è incappato nei briganti né ha sfiancato le cavalcature tutti e sette mi hanno servito con una tenacia e una devozione che difficilmente riuscirò mai a ricompensare

35 pensieri riguardo “Storie imbastite: partito ad esplorare il regno di mio padre

  1. Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare. Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati; esattamente otto anni sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino.
    Credevo alla partenza che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi e: dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua che dicevano di essere sudditi miei.
    Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera, ma, più sovente, mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.
    Mi misi in viaggio che avevo già più di trent’anni, troppo tardi, forse. Gli amici, i familiari stessi, deridevano il mio progetto come inutile, dispendio degli anni migliori della vita. Pochi in realtà dei miei fedeli acconsentirono a partire.
    Sebbene spensierato ben più di quanto sia ora, mi preoccupai di poter comunicare durante il viaggio con i miei cari e, fra i cavalieri della scorta, scelsi i sette migliori che mi servissero da messaggeri; credevo inconsapevole che averne sette fosse addirittura un’esagerazione. Con l’andar del tempo mi accorsi al contrario che erano ridicolmente pochi e, si che nessuno di essi è mai caduto malato né è incappato nei briganti né ha sfiancato le cavalcature, tutti e sette mi hanno servito con una tenacia e una devozione che difficilmente riuscirò mai a ricompensare.

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  2. Ciao a tutti. Io farei come Grilloz, tranne qui:
    invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi e: dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua che dicevano di essere sudditi miei. Non metterei i due punti dopo la e, prima di ‘dovunque’. Quindi non ho copiato, il mio compito è differente per due punti.

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      1. Ihihih… 😂😂😂
        Comunque mi ricordo questo racconto. Lo abbiamo letto in lettura condivisa con gli altri sul forum.
        “I sette messaggeri” se non mi sbaglio tratto da “La boutique del mistero.” Avevamo letto anche un secondo racconto tutti insieme…Non mi ricordo il titolo. Dovrei rivedere.

        È molto carino questo esercizio.😊

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  3. Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare.

    Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati. Esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino.

    Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno. Invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi e, dovunque, uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei. Penso, talora, che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo, forse, andati girando su noi stessi senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera ma, più sovente, mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.

    Mi misi in viaggio che avevo già più di trent’anni, troppo tardi forse. Gli amici, i familiari stessi, deridevano il mio progetto come inutile dispendio degli anni migliori della vita. Pochi, in realtà, dei miei fedeli, acconsentirono a partire. Sebbene spensierato – ben più di quanto sia ora … – , mi preoccupai di poter comunicare durante il viaggio con i miei cari e, fra i cavalieri della scorta, scelsi i sette migliori che mi servissero da messaggeri; credevo, inconsapevole, che averne sette fosse addirittura un’esagerazione. Con l’andar del tempo, mi accorsi, al contrario, che erano ridicolmente pochi e si che nessuno di essi è mai caduto malato né è incappato nei briganti né ha sfiancato le cavalcature. Tutti e sette mi hanno servito con una tenacia e una devozione che difficilmente riuscirò mai a ricompensare.

    Qui, la struttura e l’uso delle congiunzioni mi ha messo in difficoltà, avrei usato più punteggiatura e tagliato qualche “e” ma ho rispettato l’esercizio; mi sono trovata più a mio agio con Il filobus n. 75.

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    1. Rodari scrive favole per bambini ed è lineare; Buzzati scrive (in questo caso) favole per adulti e la struttura è già più complicata. Avevo provato a prendere un pezzo della Gazzetta dello Sport ma la punteggiatura, là, pareva quasi obbligata.

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      1. Riferito all’esercizio.
        Su una struttura lineare posso dare la mia impronta.
        Su una più complicata devo capire cosa e come voleva dirlo chi l’ha scritto, limitandomi a fare la “cosa giusta”; considerato che su alcune “cose giuste” non sono d’accordo mi trovo tra l’incudine e il martello.

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          1. Perdonami il calembour: capisco il punto. La questione è che il brano deve permettere di essere lavorato e, per questo motivo, il percorso possibile è stretto: brani dalla scrittura più complessa, come fai notare, sono rigidi in quanto impongono con le parole anche una certa struttura. Brani dalla scrittura troppo semplice (come quello sulla partita del Milan di ieri) soffrono lo stesso problema per motivi opposti. Personalmente credevo fosse più facile trovare brani malleabili; il mio problema è che per sceglierli li devo leggere ma, conoscendoli, diventa difficile capire se possano prestarsi all’esercizio perché io li vedo sempre e comunque dotati della loro punteggiatura.
            Di sicuro, abbiamo appurato che un tono “favolistico” si presta generalmente bene.

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          2. Esercizio anche per te, semplice semplice: completa la frase.

            Michele, dovresti ormai sapere che: a) ti perdono qualsiasi cosa e il gioco di parole l’ho apprezzato molto. b) non ti perdono nulla ma il gioco di parole l’ho apprezzato molto.

            Inviato da iPhone

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  4. Sono curiosa del pezzo scritto sulla Gazzetta dello Sport. Un taglio giornalistico è interessante. Anche da un altro quotidiano, volendo.
    Quasi, quasi mi vedo gli articoli che ho sottomano. Mi hai messo la pulce nell’orecchio. Voglio vedere come usano la punteggiatura i giornalisti. 😊

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  5. A proposito della punteggiatura: spiegatemi per favore. Perché io mi ricordo una lezione alle scuole elementari dove la maestra, per farci capire l’importanza della punteggiatura, ci raccontò la storia di una lettera (nel senso di epistola) solo di parole (niente punteggiatura, nemmeno un capoverso) dove, alla fine, l’autore aveva messo un tot di segni di interpunzione con la nota «Usali come credi». In tutto questo, forse ho qualche anno meno di voi anagraficamente ma mi sento tanto vecchia in quest’approccio alla punteggiatura (e il flusso di coscienza lo tollero solo a piccole dosi).

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    1. “Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca”. Io ti do solo una virgola, usala come credi.

      PS: Bisogna proprio che vada a cercare qualche articolo giusto, in giro per la rete.

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  6. I Sette messaggeri (e tutto Buzzati) andrebbero bene anche scritti su un rotolo di cartone o con sbavature d’inchiostro in un libro pieno di orecchie, l’esercizio è interessante, ma temo che il buon Dino dalle sue oramai metafisiche Dolomiti ci manderebbe a quel paese

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  7. Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono si fanno sempre più rare. Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati, esattamente otto anni sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno; invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei. Penso, talora, che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi, in realtà, siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all’estrema frontiera, ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine. Mi misi in viaggio che avevo già più di trent’anni, troppo tardi, forse. Gli amici, i familiari stessi, deridevano il mio progetto come inutile dispendio degli anni migliori della vita, pochi, in realtà, dei miei fedeli acconsentirono a partire. Sebbene spensierato, ben più di quanto sia ora, mi preoccupai di poter comunicare durante il viaggio con i miei cari e, fra i cavalieri della scorta, scelsi i sette migliori che mi servissero da messaggeri. Credevo, inconsapevole, che averne sette fosse addirittura un’esagerazione; con l’andar del tempo mi accorsi, al contrario, che erano ridicolmente pochi e sì che nessuno di essi è mai caduto malato né è incappato nei briganti né ha sfiancato le cavalcature, tutti e sette mi hanno servito con una tenacia e una devozione che difficilmente riuscirò mai a ricompensare.

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  8. Coincidenze? Fato. Destino. O altro. (S)Fortuna. Non saprei. Però, ecco che si parla di punteggiatura e io, oggi, mi trovo a leggere un Saramago (premio Nobel eh) con un uso (non uso) della punteggiatura al limite dell’anarchia. Alla prima virgola seguita da lettera maiuscola ho pensato «Ti prego, fa che sia un refuso». E domande senza punti interrogativi, struttura dei dialoghi inesistente.

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    1. Devo ammettere che non ho mai capito perché Saramago abbia adottato (cioè: disconosciuto) la punteggiatura. A mio parere non ne ha guadagnato; qualcuno potrebbe dire che ne ha perso.

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